Paulo Dybala, Boris Johnson, Tom Hanks, Nicola Zingaretti, Alberto Cirio, Harvey Weinstein, Kevin Durant. Sono solo alcuni dei protagonisti della politica, dello sport o del cinema che sono risultati positivi al Covid-19.
Nelle alte sfere della società, infatti, qualche colpo di tosse o poche linee di febbre sono sufficienti ad assicurare l’accesso immediato a test e controlli. Mentre medici, infermieri e cittadini comuni con sintomatologie ben più gravi — e rivelatorie — aspettano nei corridoi degli ospedali o in quarantena domiciliare, rischiando di allungare in modo esponenziale la catena dei contagi.
In Italia, dal 26 febbraio scorso, seguendo le direttive del Ministero della Salute vengono sottoposti a tampone soltanto i cittadini sintomatici (in particolare, con problemi respiratori o febbre) che hanno avuto contatti con un caso probabile o confermato di Covid-19, provengono da aree con trasmissione locale o sono ricoverati in ospedale. A partire dal 27 marzo, grazie al promettente calo dei contagi in Lombardia, il governatore Attilio Fontana ha annunciato che i tamponi saranno disponibili anche ai potenziali casi monosintomatici, cioè coloro che presentano soltanto febbre o tosse.
In data 28 marzo, i tamponi eseguiti sono stati 429.526, ripartiti su tutto il territorio nazionale ma con numeri maggiori nelle Regioni più colpite come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. In realtà, come spiega YouTrend, questo non significa che quasi 430mila italiani siano stati sottoposti al test: in molti casi, infatti, un cittadino può aver fatto il tampone più volte per diversi motivi, come i tamponi dal risultato incerto o i vari test che vengono eseguiti su un paziente in via di dimissione per assicurarsi che sia realmente guarito.
Non sempre, però, l’accesso al tampone è immediato e garantito a tutti. “Ho la febbre e la tosse. Ma non mi fanno il tampone. Che altri sintomi dovrei avere per essere sottoposto ai controlli per il coronavirus? Resto a casa, in quarantena, con la paura di infettare mia moglie e le mie figlie” dice Luigi, da Frosinone. “È da martedì che non mi sento bene con i seguenti sintomi: febbre, tosse, mal di testa, fatica a deglutire, nausea e vomito. Alle 19 mi decido, prendo la macchina e vado in Ospedale. Chiedo se è possibile fare questo benedetto tampone… la risposta è ‘non possiamo farlo perché non presenti i sintomi del virus e non sei stato a contatto con persone o zone rosse’… Il risultato è che a seguito della radiografia mi hanno trovato un inizio di polmonite e nonostante questo NON mi faranno il tampone” denuncia sul suo profilo Facebook Filippo, di Verbania. Sul Fatto Quotidiano, anche un medico di famiglia biellese lancia l’allarme: “Attualmente ho quattro pazienti con polmonite interstiziale, ma non è possibile sottoporli a tampone”. Hanno tra i 25 e i 40 anni, e più di 38 di febbre, ma per il test serve la certezza del contatto con un positivo. “Sono commercianti, avranno incontrato decine di persone. È impossibile”.
La situazione è la stessa anche per gli operatori sanitari, che proprio sul posto di lavoro vengono quotidianamente a contatto con decine di persone positive. “Una mia collaboratrice, impegnata da subito in questa battaglia e con contatti quotidiani con pazienti affetti da Covid 19 disease, pochi giorni fa si è ammalata, manifestando sintomi e segni tipici della patologia virale; contattati più volte i numeri di emergenza nazionale, le è stato negato il tampone” denuncia al Corriere della Sera il primario Nicola Mumoli, che dirige l’unità di Medicina interna all’ospedale di Magenta (MI). “Invece oggi [23 marzo, ndr] le pagine delle cronache riportano le buone condizioni di calciatori, attori e politici che esattamente come la mia collaboratrice hanno avuto «contatto con persone positive e sintomi da virosi» ma cui, a differenza della dottoressa, è stato eseguito il tampone e quindi formulato un corretto programma sanitario di controllo. Se si deve scegliere tra un calciatore e un medico non ci sono dubbi e ci sentiamo condannati a sparire sotto quella mascherina che indossiamo ogni giorno con grande fierezza, esercitando un lavoro che mai come ora consideriamo un privilegio”.
Il 26 marzo l’Istituto Superiore di Sanità ha reso noto che gli operatori sanitari contagiati sono 6.414. I deceduti sono 51. Tredici medici bergamaschi hanno fatto sentire la propria voce sul New England Journal of Medicine: senza tamponi o dispositivi di protezione adeguati, gli ospedali gli ospedali diventano i primi centri di potenziale contagio e anche i volontari delle ambulanze, pur se asintomatici, contribuiscono alla diffusione del virus.
Se per un cittadino comune, febbre alta e tosse costante non sono sintomi sufficienti a garantire una diagnosi veloce ed accurata, nel mondo della politica o dello sport basta molto meno.
Nell’alta società la maggior parte dei test, infatti, sono stati eseguiti su persone asintomatiche o con indicatori estremamente flebili. “Sto bene, starò in isolamento domiciliare” dice il segretario del Pd e presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, annunciando di aver contratto il virus con un video su Facebook. Il tampone è scattato dopo aver accusato “qualche linea di febbre, mal di testa e occhi arrossati”.
Dopo il risultato positivo, è immediatamente scattata la caccia a tutti coloro che sono stati in contatto con Zingaretti, un’operazione colossale considerando i numerosi impegni mondani da segretario e governatore. Immediati i controlli per gli esponenti del Partito Democratico: “Non ho alcun sintomo ma ovviamente farò dei controlli”, dice addirittura il vicesegretario Andrea Orlando.
Sottoposto al test pur se asintomatico (e poi risultato negativo) anche il giornalista Bruno Vespa, che aveva ospitato Zingaretti in trasmissione.
Dinamica simile anche per il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio: “Sono positivo al coronavirus. Mi sono sottoposto al tampone in via puramente cautelativa, senza avere alcun tipo di sintomo” ha detto su Facebook. Il test è scattato dopo un incontro a Palazzo Chigi, a cui era presente anche Zingaretti.
Non solo politica. Sono tanti gli atleti sottoposti a tampone “per precauzione”, senza sintomi o in seguito a qualche colpo di tosse. Seguendo questa logica sono stati disposti controlli per intere squadre di calcio, compresi familiari e conviventi.
“Daniele si sentiva poco bene, aveva qualche linea di febbre… sono venuti a casa a farci il tampone” racconta Michela Persico, fidanzata del difensore juventino Daniele Rugani, che il giorno dopo è risultato positivo al coronavirus. Temperatura a 37,5° quindi, e qualche colpo di tosse: abbastanza per correre ai ripari e sottoporsi al test, se sei un calciatore di serie A.
Alla fine, tutto il mondo è paese, e la corsia preferenziale per i vip si fa strada ovunque. In Inghilterra, per esempio, il premier Boris Johnson e il ministro della Salute Matt Hancock sono risultati positivi dopo aver accusato “sintomi lievi”. La BBC fa sapere che nel Regno Unito “soltanto coloro che presentano sintomi gravi” hanno diritto al test, con l’eccezione del personale sanitario. Positivo anche il Principe Carlo, l’erede al trono, attualmente in isolamento domiciliare in Scozia e con “sintomi lievi”.
In Spagna, dopo la conferma di positività da parte delle ministre Irene Montero (Pari Opportunità) e Carolina Darias (Politiche territoriali e della Funzione pubblica), tutti i membri del governo — con o senza sintomi — sono stati sottoposti al test. Controlli immediati anche per l’entourage del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, dopo che un suo collaboratore era stato contagiato nel corso di una visita a Mar-a-Lago, in Florida: testati anche il presidente Trump e i suoi vicinissimi.
Nello sport, i giocatori dell’NBA sono stati tra i primi a ricevere il tampone, mentre milioni di americani erano in coda negli ospedali per cercare di capire come la situazione sarebbe stata gestita. “Questo dimostra l’ipocrisia della nostra società, e chi davvero viene tenuto in considerazione dalle persone con soldi e potere” ha detto al Washington Post una cittadina in attesa del test. Quando interrogato sui palesi privilegi che le “celebrità” stanno riscontrando anche nel corso di una pandemia, il presidente Donald Trump ha detto: “Non credo ci dovrebbero essere preferenze, ma così è la vita”. A quanto pare, per una volta ha ragione.